Guido Travan, di scrittura, Luna e verità.
Parto dal presupposto che Guido Travan è una persona speciale assai. Tra le diverse motivazioni lo dimostra quella che un bel giorno, pur continuando a fare l’architetto, ha deciso di dedicarsi anche a ciò che davvero gli piace: scrivere. Un atto di coraggio considerando che non è da tutti tirare fuori i sogni dai cassetti, e questa cosa è meritevole non solo perché ci ha provato, ma perché semplicemente ci è riuscito scrivendo un libro importante, Il giorno della Verità. L’argomento del romanzo non è propriamente consueto visto che riguarda i dubbi sull’autenticità della storica missione Apollo 11 proprio alla vigilia delle celebrazioni ufficiali del 50^ anniversario dello sbarco sulla Luna in programma il 20 luglio 2019.
Dal momento della sua pubblicazione il romanzo ha ricevuto alcuni prestigiosi riconoscimenti, risultando tra i dieci finalisti del concorso letterario Paolo Villaggio- un libro per il cinema- e tra i segnalati al premio internazionale Mario Luzi. Mi preme innanzi tutto sottolineare che parte del ricavato della vendita del libro – dedicato a Laura, moglie di Guido, scomparsa a causa della stessa malattia che ha portato via mio marito solo pochi mesi prima – va alla raccolta fondi per la ricerca sul cancro, quindi già solo per questo vale la pena di comprarne in quantità: regalarsi o regalare un libro e nello stesso tempo contribuire a una buona causa la reputo una combinazione meravigliosa. Il giorno della Verità: più di 400 pagine coinvolgenti e mai banali che tengono ancorati alla lettura senza annoiare, il classico romanzo che quando arrivi all’ultima pagina ti dispiaci e vorresti continuasse.
Ma come nasce un libro così intenso e ricco di colpi di scena nella mente di una persona che si avvicina alla scrittura per la prima volta? Lascio spazio alla mia curiosità e alle risposte dell’Autore.
Partiamo da una semplice domanda… andremo mai sulla Luna?
Nessuno può fermare il progresso tecnologico per cui sono certo che prima o poi l’uomo troverà il modo per arrivarci. Tuttavia non accadrà nell’immediato e ci vorranno ancora parecchi anni prima che ci siano le condizioni per farlo. I cinesi ed i russi ad esempio, che hanno già inviato con successo delle sonde automatiche sul nostro satellite, ammettono che non potranno inviare un uomo sulla Luna prima del 2030 e a mio avviso la stima appare perfino ottimistica.
Prima di scrivere “Il giorno della verità”, ti eri mai posto il dubbio dello sbarco?
Il giorno dello sbarco sulla Luna avevo 11 anni ed il pensiero che quelle immagini potessero essere un gigantesco inganno non mi aveva mai sfiorato fino ad una sera del 2009.
Che cosa è successo in quella sera del 2009?
Durante l’ultimo telegiornale della notte hanno diffuso la notizia che la Nasa aveva perso i nastri originali del primo sbarco sulla Luna, quello dell’Apollo 11. Per me era una cosa totalmente inconcepibile che non volevo crederci. Insomma come si fa a perdere la prova principale della più importante impresa scientifica realizzata nella storia dell’umanità? Così il giorno successivo ho navigato sul web nella convinzione che questa notizia venisse smentita dalla Nasa stessa. Invece non solo la notizia era confermata ma trovai una quantità incredibile di siti inerenti il Moon hoax, ossia la teoria del complotto lunare che considerava un imbroglio tutti gli sbarchi sulla Luna. Devo dire che all’inizio ero un po’ scettico ma più approfondivo la materia e più i miei dubbi aumentavano. Ero affascinato da tutto ciò che scoprivo e giorno dopo giorno cominciai a salvare metodicamente sul computer ogni argomento specifico come fosse una tesi di laurea. Questo mio interesse si era trasformato in una specie di hobby finché un giorno mi resi conto di aver archiviato oltre 10 mila pagine di informazioni tecniche, interviste, filmati, fotografie, notizie, prove a favore e prove contro. Ritenevo che la mia ricerca potesse quindi considerarsi conclusa avendo ormai appagato la mia curiosità, invece poi…
Poi che cosa è successo?
Pensavo che sarebbe stato bello poter riassumere e mettere a disposizione pubblicamente tutte quelle informazioni così pazientemente selezionate e archiviate negli anni. Però avevo escluso l’idea di scrivere un saggio per ovvi motivi.
E quali sarebbero?
Innanzitutto perché c’erano già diverse pubblicazioni scientifiche su questo tema e poi perché non sono un astronomo, uno scienziato o un fisico aerospaziale. Insomma non volevo invadere il campo altrui, in fondo il mio mestiere è quello dell’architetto. Tuttavia percepivo in maniera quasi viscerale la sensazione del gigantesco inganno americano.
Quando è nata l’idea di scrivere un romanzo?
L’ispirazione mi è venuta mentre ero in Egitto, in un angolo incontaminato tra il mare e il deserto del Sinai. È stato un momento emozionante che ricorderò per sempre e come tante altre cose nella vita è accaduto per caso. Stavo camminando da solo in riva al mare e poiché non mi ero portato nulla da leggere dopo qualche giorno mi stavo annoiando. Così ho iniziato a fantasticare di poter scrivere il libro che mi sarebbe piaciuto leggere ed è stato in quel preciso istante che tutto è iniziato. Avevo le idee chiarissime riguardo schema, struttura, personaggi e dialoghi. Insomma non vedevo l’ora di rientrare in Italia per iniziare a scriverlo anche se in realtà non potevo ancora sapere se ne sarei stato davvero capace. Era una specie di sfida con me stesso ed io ero animato da una motivazione fortissima perché sentivo che questa storia doveva essere raccontata, percepivo l’assoluta necessità di scriverla e mi immedesimavo completamente nei protagonisti. Mi ricordai allora delle parole di Paolo Maurensig, un grande scrittore friulano: “Non esistono gli scrittori, esistono semplicemente delle storie che premono per poter essere raccontate”. Ecco, per me era esattamente così ed era come se questa storia mi avesse scelto per poter venire alla luce. E’ stata davvero un’esperienza coinvolgente.
Il romanzo è una sorta di thriller storico, tu come lo descriveresti?
Penso che sia innanzitutto una storia coinvolgente che ci fa tornare indietro nel tempo per rivivere gli entusiasmanti anni 60 del sogno americano, il periodo in cui vennero pianificati i primi viaggi spaziali verso la Luna. Il filo conduttore è una commovente storia di amore e di amicizia tra i principali protagonisti che loro malgrado si troveranno improvvisamente coinvolti in un gioco molto pericoloso. La storia si sussegue con un ritmo incalzante e ricco di colpi di scena dove il destino sembra sempre pronto a modificare il corso degli eventi e conduce inesorabilmente all’emozionante finale. Il romanzo trascina il lettore alla scoperta delle scomode verità che la Nasa ha sempre cercato di occultare e nel finale si trasforma in un coraggioso atto di accusa nei confronti della verità ufficiale.
A proposito del destino, tu ci credi?
La vita di ognuno di noi è la diretta conseguenza di una serie incredibile di coincidenze ed è per questo che in genere si è portati a credere che nulla nasca per caso e che dietro tutta questa casualità ci sia un disegno più grande. Non lo so se sia davvero così ma in fondo è bello crederci.
Che sensazione hai avuto rileggendo il tuo libro a distanza di tempo?
Confesso di aver provato un istintivo timore nel rileggere il libro dopo qualche mese. Penso che sia una cosa normale perché ovviamente c’è sempre il timore di scoprire qualcosa di stonato, qualche imperfezione o qualche incongruenza nel racconto. Invece la sensazione che ho provato era di intima soddisfazione e quasi di meraviglia perché non avrei cambiato nemmeno una virgola. Mi rendevo conto di aver creato qualcosa di bello e ne ero orgoglioso perché scrivere un libro significa lasciare qualcosa che rimane intatto nel tempo. È stata una splendida sensazione che ho assaporato a lungo.
L’argomento dello sbarco sulla Luna è piuttosto complesso e non deve essere stato facile affrontare tutti questi argomenti scientifici senza appesantire il racconto. Eppure il romanzo risulta avvincente e scorrevolissimo.
Dopo aver approfondito per anni le mie ricerche ero giunto alla conclusione che le missioni Apollo siano state solamente un gigantesco inganno. Allora ho utilizzato la fantasia e attraverso le vicende dei protagonisti mi sono immaginato come potevano essere andate realmente le cose. Ho sviluppato quindi una trama verosimile dove tutti gli avvenimenti ed i personaggi storici dell’epoca interagivano con i protagonisti creati dalla mia fantasia. Non è stato semplice riuscire ad intrecciare in maniera coerente la realtà con la finzione ma devo dire che durante la stesura le parole sembravano fluire con una facilità sorprendente. Alla fine peraltro mi sono reso conto di un fatto curioso che non avevo ancora mai considerato e cioè che in tutta la letteratura mondiale nessuno si era mai avventurato a scrivere un romanzo sul tema del primo sbarco lunare. Insomma era una sensazione che mi faceva sentire unico e speciale.
Cosa rispondi a chi critica ferocemente chi non crede assolutamente nello sbarco?
Credo che in fondo sia solo una questione di pigrizia. È molto più comodo rimanere davanti alla televisione per assimilare passivamente la verità ufficiale e questo vale per ogni argomento. La pigrizia però è deleteria perché produce inesorabilmente effetti collaterali quali l’ignoranza e l’indifferenza. Informarsi costa tempo e fatica ma non tutti sono disposti a farlo. Eppure oggi basterebbe guardare “American Moon”, il meraviglioso documentario del giornalista Massimo Mazzucco della durata di oltre 3 ore con cui demolisce le residue possibilità che quegli sbarchi lunari possano essere autentici. Mi fa comunque piacere che molte persone, dopo aver letto il romanzo, mi abbiano scritto per ringraziarmi di aver fatto conoscere loro un’altra verità. Allo stesso tempo però mi rendo conto che è sempre difficile riuscire a sradicare le convinzioni basate sul ricordo delle storiche immagini televisive che si sono ormai saldamente sedimentate nella memoria collettiva. Il fatto è che ognuno di noi è più portato a credere allo sbarco sulla Luna piuttosto che ammettere di essere stato ingannato. Questo non deve sorprendere perché il concetto era ben chiaro oltre 2000 anni fa anche all’imperatore romano Giulio Cesare: “Si crede più facilmente a ciò che si desidera sia vero”.
Scrivere un romanzo di questo genere deve essere stato molto impegnativo. In quanto tempo sei riuscito a scriverlo?
Me lo chiedono in molti ma la verità è che non lo so esattamente. Forse un anno e mezzo, forse due. Peraltro la maggior parte delle persone pensano che un romanzo sia terminato quando viene scritta l’ultima riga ma in realtà è tutt’altro che così perché da quel momento in poi inizia il lungo e complesso lavoro di revisione, perfezionamento, editing, studio grafico della copertina, impaginazione e tutto ciò che serve a renderlo definitivo. Una volta pubblicato è necessario far conoscere il libro e quindi inizia la seconda fase che comprende presentazioni, interviste, promozioni, partecipazione ai concorsi letterari, blog personale, elaborazione del book trailer pubblicitario e tanto altro ancora. Se poi non si ha alle spalle una grande casa editrice che se ne occupa tutto diventa ancora più lungo e faticoso.
Come si fa a conciliare il lavoro di architetto con quello di scrittore?
In tempi normali i ritmi di lavoro professionale sarebbero stati inconciliabili con la scrittura perché le mie giornate lavorative iniziavano molto presto e terminavano molto tardi assorbendo ogni energia. Poi con la crisi dell’edilizia tutto è cambiato molto rapidamente e quindi ho avuto a disposizione molto più tempo da dedicare anche ad altri interessi, tra cui la scrittura. La cosa sorprendente è che dal punto di vista concettuale le fasi di sviluppo di un’opera architettonica sono molto simili a quelle di un’opera letteraria. All’inizio c’è sempre l’idea ispiratrice che è molto simile al primo schizzo di un progetto. Poi nelle fasi successive si definiscono la struttura, i dettagli ed i particolari esattamente come nello sviluppo progettuale di un edificio. Perfino i tempi realizzativi sono sorprendentemente simili.
C’è un autore a cui ti sei ispirato o a cui senti di assomigliare come stile?
Ce ne sono davvero molti e comincerei da Ernest Hemingway il cui stile narrativo mi ha sempre affascinato. Poi nei vari periodi ho apprezzato i grandi maestri della narrativa internazionale come Ken Follet, Wilbur Smith, John Grisham, Mark Levy e Josè Rodriguez dos Santos. Tra gli autori italiani ho apprezzato molto le prime opere di Paolo Maurensig che privilegia uno stile narrativo tendente all’essenziale eppure molto coinvolgente. Ognuno ovviamente ha il suo genere preferito ma io parto dal presupposto che un romanzo che non riesce ad emozionare vale ben poco.
Qual è il libro più bello e quello più brutto che hai letto?
Riguardo il libro più bello ce ne sono troppi e sono tutti ex aequo. Riguardo il più brutto invece preferisco lasciare un indizio: anni fa ha vinto il premio Pulitzer per la letteratura e mentre tutti lo considerano un capolavoro assoluto io l’ho trovato quasi illeggibile. Non c’è da meravigliarsi, in fondo basta osservare le recensioni di qualsiasi libro per accorgersi come le opinioni siano spesso all’opposto.
Quest’estate sei stato invitato a presentare il romanzo durante la prestigiosa rassegna Cinema e Libri a Roma, sull’Isola Tiberina (io ovviamente c’ero e mi sono divertita tantissimo!) Quando passeggi per Roma, ti vengono in mente alcune scene del libro, riesci a riviverle?
Nello scrivere io tendo sempre a visualizzare le scene esattamente come se stessi osservando un film. Posso dire di essere stato fisicamente in tutti i luoghi come New York, Miami, Key West e molti altri descritti nel romanzo per cui penso di essere stato facilitato nel trasmettere le sensazioni vissute dai protagonisti. Riguardo Roma o Venezia il legame è ancora più forte ed è quindi evidente che possa rivivere le scene ancor più facilmente.
Il romanzo è pubblicizzato da uno splendido Booktrailer, vuoi parlarne?
In effetti ho elaborato personalmente l’idea concettuale del booktrailer selezionando la musica, i testi, i filmati e tutte le immagini da inserire. Poi mi sono affidato alla grande professionalità di Giulia Abbate dello “studio83” di Milano che ha sviluppato meravigliosamente il montaggio assecondando ogni mio desiderio. Alla fine il risultato finale è stato davvero emozionante.
Molte persone continuano a complimentarsi e a chiederti un nuovo romanzo. Ci puoi anticipare qualcosa?
Assolutamente no. Mentre scrivevo il mio primo romanzo mi sono sempre imposto di mantenere il segreto e l’ho fatto per delle ragioni ben precise. Raccontarlo a tutti significava solo spezzare la magia ed il piacere di poter realizzare qualcosa di inaspettato che per sorprendere e per stupire deve essere rivelato solo alla fine. E poi mantenere il segreto rappresenta anche il modo migliore per rafforzare la motivazione e vincere la sfida con se stessi.
C’è un passaggio particolare del romanzo di cui vai particolarmente fiero?
Ce ne sono almeno una decina e spesso mi meraviglio nel rileggerli perché riescono ancora ad emozionarmi. In alcune parti il coinvolgimento emotivo, il ritmo ed i dialoghi rendono la narrazione ancora più avvincente e penso che questo sia comunque un pregio. Poi ci sono anche alcuni passaggi più introspettivi che invece puntano a caratterizzare i principali protagonisti come succede ad esempio all’inizio della terza parte del romanzo.
Puoi indicare la qualità principale del tuo romanzo?
Penso che sia avvincente. Un lettore un giorno mi ha mandato un messaggio per farmi i complimenti dicendo che aveva iniziato il libro la mattina di ferragosto e che l’aveva finito la sera stessa perché doveva assolutamente sapere come andava a finire. Inutile dire che mi ha fatto un’enorme piacere.
Hai mai pensato che questo romanzo sembra la sceneggiatura perfetta per realizzare un film?
In realtà questo è sempre stato il mio sogno segreto. Difficile da realizzare ma non impossibile. Insomma, mai dire mai.
Lo sai che il tuo libro è stupendo vero?
Certo che lo so, il problema è che il resto del mondo ancora non lo sa.